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Mezzo secolo fa la Mini “by Bertone”

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Fu prodotta per quasi vent’anni.

Nella seconda metà degli Anni 60 la Innocenti era guidata da Luigi Innocenti, figlio del fondatore Ferdinando. La produzione di auto su licenza BMC (British Motor Corporation) procedeva in maniera soddisfacente ed i vertici della Casa di Lambrate cominciarono ad accarezzare l’idea di una vettura interamente progettata e costruita in Italia.

Fu così affidato ai carrozzieri Nuccio Bertone e Giovanni Michelotti l’incarico di approntare dei progetti per una piccola utilitaria da proporre nella fascia di mercato delle vetture da 750 cc, da affiancare all’ormai datato modello di Mini inglese.

In seguito però alla crisi aziendale, l’idea fu provvisoriamente accantonata, per essere ripresa nel 1972 quando il settore auto della Innocenti divenne di proprietà del gruppo British Leyland. Goeffry Robinson fu chiamato così a dirigere gli impianti di Lambrate. La “maquette” del modello di Bertone gli piacque molto, ma le condizioni finanziarie della Innocenti e della Casa madre ne consentirono la messa in produzione e la vendita solo nel 1974, partendo dalla maquette definitiva realizzata da Marcello Gandini per Bertone.

Per contenere i costi organi meccanici e motori erano quelli della Mini inglese, aggiornati e migliorati (ad esempio adottando il radiatore frontale). Linea vagamente a cuneo e squadrata (modernissima per l’epoca), ampie superfici vetrate, sbalzi minimi, pratico portellone posteriore ed un bagagliaio più ampio caratterizzarono il nuovo modello, proposto nelle varianti 90 e 120 (riferite alla cilindrata del motore, 998 e 1.275 cc) e negli allestimenti L e SL.

Nel 1976 Alejandro De Tomaso subentrò alla Leyland dando vita a una versione sportiva, denominata appunto De Tomaso. Con la fine dell’accordo con la Leyland per la fornitura di motori, il vulcanico imprenditore argentino fece montare nel 1982 i 3 cilindri giapponesi della Daihatsu introducendo le varianti De Tomaso Turbo, Diesel e Automatica (quest’ultima a benzina).

Grazie al passo corto, la Mini italiana pagava un pedaggio ridotto in autostrada e grazie al 3 cilindri giapponese si rivelava contenuta nei consumi. Per un breve periodo fu prodotta anche una 2 cilindri di 617 cc, denominata 650. Nel 1986 apparve la 990 con passo più lungo, sopperendo ad un difetto cronico di quest’auto, la scarsa abitabilità posteriore. La 990 in allestimento SE disponeva persino del condizionatore, una rarità a quell’epoca per le citycar. Un anno dopo fu la volta della nuova Innocenti 500, con motore a 3 cilindri di 548 cc.

Nel 1990 De Tomaso cedette le quote di Innocenti e Maserati a FIAT che rinominò Small le 500 e le 990. Rimarranno lettera morta (anche per non creare problemi ai modelli prodotti dalla nuova proprietà) i prototipi di una 990 a 5 porte e di versioni con i motori Fire “made in FIAT”.

Con varie serie speciali la Mini italiana arrivò fino all’inizio degli Anni Novanta Nel 1992 furono introdotte le varianti con catalizzatore e nel 1993, ultimo anno di vita, la gamma fu ampliata dalla variante 500 SE, che univa il motore di 659 cc alla carrozzeria allungata della 990. La produzione della piccola utilitaria di Lambrate si concluderà il 31 Marzo 1993, mentre la commercializzazione del modello proseguì fino alle soglie del 1994, con gli ultimi stock di vetture lasciati in giacenza alle concessionarie.

La Mini italiana ha comunque svolto un ruolo importante nel segmento delle citycar ed ancor oggi è apprezzata dagli appassionati di auto storiche per la linea innovativa e le prestazioni tutt’altro che disprezzabili. Un’auto che merita ancor oggi considerazione e rispetto.

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